Intervista a Gianni Capovilla
Sulla scia della passione
Come è nata questa passione per la ricerca di questo prodotto,
come le è venuta l’idea di dedicarsi ai distillati?
Mi è venuta… anzi mi è capitata addosso per caso nel ‘74, anno in cui
ho iniziato ad occuparmi di macchinari per l’enologia. Seguivo un’azienda
per il mercato estero, in particolare Svizzera, Germania e Austria,
dove effettivamente c’è una cultura diversa della distillazione rispetto
a quello che succede in Italia. Per citare due numeri… la Germania ha qualcosa
come 30.000 distillerie, l’Austria ne ha addirittura 90.000 e hanno ancora
di diritti di Maria Teresa d’Austria. In Italia ci sono meno di 120 distillerie.
Si capisce che in qualche modo la cultura della distillazione, in particolare
la distillazione artigianale a bagnomaria, sta da un’altra parte.
Questa cosa è nata come argomento di discussione in fabbrica con gli operai.
In questa piccola azienda (con 40 operai) tutti avevano l’ambizione
di distillarsi qualcosa in casa, di fare la grappa di contrabbando.
Ovviamente non conoscendo esattamente come era fatto un alambicco
che distilla bene, costruivano dei contenitori, dei bollitori in acciaio
inossidabile, belli e lucidi, che però non riuscivano a produrre niente di buono.
E così, io cercavo di dir loro, “guardate che, io che frequento paesi
dove se ne vedono in ogni casa”.
Ho cercato di capire come deve essere fatto un alambicco per funzionare bene.
Le proporzioni, l’elmo, i metalli usati per la costruzione, hanno un’ importanza
non da poco, nel senso che il rame in particolare, esattamente
dove è il bollitore, fa un’azione catalizzatrice di determinate sostanze.
Io cercavo di spiegare loro tutte queste cose. Il rame non era utilizzato
per la costruzione di questi macchinari moderni per l’enologia, e così,
quasi per scommessa con questi miei colleghi di lavoro, ho trafugato a pezzi
un alambicco che ho acquistato in Austria, perché a quei tempi le frontiere...
erano proprio frontiere e così un pezzo alla volta l’ho portato a casa.
Ho iniziato a distillare per scherzo, tanto per verificare e mettere a confronto
quello che ne usciva da un distillatore “fatto per il giusto scopo”
e non uno costruito in casa.
Cosa ha distillato per la prima volta?
La primissima cosa è stata la vinaccia perché era quello il confronto diretto.
La vinaccia, se è una vinaccia vinificata in casa e bene, hai una materia prima
che è fresca, non pressata eccessivamente, e non ossidata.
Conoscendo quello che succedeva nei paesi che ho citato prima, la frutta
naturalmente aveva un fascino particolare. E da qui il desiderio di provare
quello che facevano i mitteleuropei.
La sua prima grappa, il suo primo esperimento compiuto, quando è nato?
E’ stato nel '75. C'è voluto un un anno tra importare e fare le prime prove.
E proprio avendo tale opportunità, visto che frequentavo questa gente,
potevo porre domande e ottenevo risposte senza essere visto
come un “concorrente”. In quei paesi si distilla tutto quello che non va
venduto fresco, dalle mele, alle pere, alle ciliegie, tutto quello che un’azienda
produce. Ed è con questo spirito che a suo tempo, alla fine del '700
e primi dell’800, erano nati i diritti concessi dall’impero austro-ungarico.
Nell’economia di un’azienda agricola i prodotti che non erano perfetti
e non potevano essere venduti freschi, potevano essere trasformati in casa,
in qualcosa che poteva dare reddito, oltre che conforto.
Questo dunque non era solo un prodotto destinato all’autoconsumo,
in quanto le licenze permettevano la produzione di 300 litri di alcool all’anno.
Pertanto per una famiglia molto numerosa e “allargata” (e gli inverni
erano molto freddi) questi distillati erano una fonte di reddito vera e propria.
Dopo questa prima produzione la vinaccia l’ha raccolta in loco
oppure se l'è procurata in altri paesi?
La prima vinaccia è stata di Merlot e di Cabernet. Sono trevigiano
e trapiantato nel vicentino da 25 anni, ma io sono nato a Crespano del Grappa
e queste erano le vinacce da uve Merlot e Cabernet locali.
Come è venuto lo step di passare dalla vinaccia alla frutta?
Lei si era reso conto che la frutta veniva distillata perché era ormai non più fresca,
mentre il suo è stato un passaggio inverso. Come ha avuto questa intuizione?
Il passaggio è stato automatico, proprio perché ne assaggiavo di cose…
e tante cattive! E non solo italiane ovviamente.
Citavo prima i numeri altissimi che ci sono sia in Austria che in Germania:
questo non significa che ognuno sia un raffinato distillatore,
che produce dei distillati chissà quanto buoni ed eleganti.
Sono più che altro distillati rustici, proprio perché in stagione
raccolgono la frutta che hanno in esubero, la mettono nei contenitori e parte
una fermentazione spontanea. Il problema è che la distillazione vera e propria
avviene in inverno, quando hanno il tempo di distillare. Pertanto il passo
è stato breve a quello poi di frequentare i bravi distillatori.
Del perché certi sono rustici, altri buoni e altri meno buoni.
Ovviamente da lì ho iniziato ad andare mirato, verso determinati produttori.
Mi prendevo tempo, andavo a trovarli, addirittura passavo dei fine settimana,
o delle semi-vacanze.
Mi racconti qualcosa della raccolta della frutta, che è un passo molto importante,
alla base della sua attività. La frutta dove la raccoglie?
Ha dei produttori in esclusiva?
La mia è un’azienda agricola, abbiamo 4 ettari che coltiviamo in biologico.
Pertanto certa frutta, quella che qui può crescere bene,
ce la coltiviamo da soli. Naturalmente a Rosà, dove siamo noi,
non è che cresca tutto al meglio. E pertanto la frutta che non riesco
a coltivarmi vado a cercarla dove cresce bene.
Chi le dà queste dritte, come fa a scoprire dove si trova questa frutta?
E’ un percorso che dura da oltre 30 anni e pertanto girando
e parlando con la gente, scopri un sacco di cose.
Ovviamente è sempre la curiosità e l’interesse che creano
dei nuovi percorsi e ti fanno fare un poco di strada in più.
Ma il tutto nasce da un’equazione semplice: con gli esperimenti
che facevo, avevo capito che più buona è la frutta, migliore
è il prodotto finale. Se parto da una materia prima eccezionale
e straordinaria, l’unico rischio è quello di rovinarla…
io tutto sommato non invento niente, pertanto il primo vero
e grande lavoro è quello di produrmi o andare alla ricerca
delle materie prime migliori. Anche perché la frutta che porto a casa
non è frutta che non si può vendere al mercato fresco.
Anzi, è spesso frutta coltivata per lo scopo, maturata in pianta,
raccolta a mano… e questa è una cosa assolutamente
fondamentale. Prima di tutto la materia prima, poi viene tutto il resto.
Ad esempio, parlando di vinacce, non penso che tutte le grandi maison di champagne,
oppure lo Châteaux d’Yquem, decidono di darle le botti per invecchiare il rum
o le vinacce. C’è qualcun altro che ha questo privilegio?
In Francia esiste questa cultura del distillato?
No, in Francia, le grappe francesi che si conoscono sono distillate
industrialmente e pertanto non è un prodotto assolutamente raffinato.
Anche la Francia (in alcune parti fino ai primi dell’800) che era sotto
la Germania (ad es l’Alsazia) detiene ancora i diritti della distillazione,
questa piccola licenza… anche se sono rimasti indietro.
A far da padroni sono il cognac, l’armagnac il calvados, però come distillato
di vinaccia non c’è niente di particolarmente raffinato.
Poi è un fatto abbastanza recente quello di distillare anche delle vinacce
da maison francesi, che come in Italia hanno l’obbligo di conferimento
alle distillerie. Però se uno vede una distilleria in Francia,
capisce quello che succede… ne fanno un alcool industriale!
Nella regione dello Champagne, per disciplinare dalle uve per produrre
champagne si può pressare solamente il 60% del peso dell’uva come mosto.
Le cantine praticamente conferiscono alle distillerie una vinaccia
ancora grondante di mosto e una vinaccia molto pressata dà un distillato
con una struttura totalmente diversa. Se c’è la presenza di un poco
di mosto d’uva, abbiamo una resa un po’ più alta.
A livello di resa e aromaticità, cambia? Le vinacce che lei porta dalla Francia,
rispetto a quelle italiane, sono differenti?
C’è sicuramente una differenza, ma in particolare per la struttura acida
delle vinacce stesse, parlando dello champagne. E’ curioso per es.
a Mareuil sur Ay, dove andiamo ogni anno a dirasparci le uve pressate
di Billecart e Philipponat, ci sono questi camion che vanno a ritirare
la vinaccia dai vignaioli. Tutte le strade di Mareuil sono appicicaticce
e cosparse di mosto d’uva, che scende dai camion che trasportano la vinaccia.
Ritornando alla sua anima meccanica, lei si è costruito queste macchine:
le ha anche brevettate in esclusiva?
Non sono più macchine…Nel mio percorso sin dall’inizio, le materie prime,
cioè la frutta, ha bisogno di un certo tipo di lavorazione e pertanto
non trovando sul mercato attrezzature idonee per svolgere
quel determinato lavoro, in parte mi sono costruito le macchine.
L’unica macchina che ho brevettato e che cedo anche ai miei colleghi
in giro per il mondo è una sorta di refrigeratore che durante
questo processo separa le sostanze volatili, fra cui il metanolo,
l’acido cianidrico e l’anidride solforosa se c’è…
Quindi pur facendo tutto bene nella distillazione, separando teste e code,
comunque rimangono delle sostanze che in distillazione
non si riescono a separare.
Quindi con questa macchina riesce a fare questo…
Non è che con questa macchina un prodotto cattivo diventa buono…
un prodotto buono però diventa migliore!
Mi spieghi il passaggio, anche tecnico, che fa lei rispetto agli altri, da quando stacca
la frutta dalle piante sino a quando “entra” nelle sue bottiglie…
Non faccio cose molto diverse rispetto ai miei colleghi mitteleuropei!
Lei fa molti riferimenti al mitteleuropeo perché significa che in Italia…
Ci sono pochi aziende che distillano frutta. Ce n’è qualcuno qui in Alto Adige,
ma ho pochi esempi. Ci sono dei piccoli, ma le realtà più significative
sono vere e proprie industrie.
Dalla frutta al distillato…
L’esperienza accumulata ti fa capire che ogni frutto
ha un suo momento migliore per essere colto e lavorato.
Pertanto lo si lascia in pianta sino al giusto punto, e questo può variare
da frutto a frutto, perché ci sono frutti che danno il meglio di sé surmaturi,
mentre altri vanno colti in anticipo, al giusto momento.
E la lavorazione della frutta stessa, cioè la frantumazione, la resa in purea
delle mele e delle pere è una pratica assai facile, perché esiste in commercio
un macchinario che svolge questo compito.
Al limite uno decide se macinarle o più grosse o più sottili.
Invece per la frutta col nocciolo e altra frutta, la procedura varia da tipologia
a tipologia. Ad esempio ci sono le albicocche che hanno il nocciolo
contenente la mandorla amara (poche sono le varietà
con la mandorla dolce), mentre le pesche sono tutte con un nocciolo
amarissimo. Pertanto le pesche, sia quelle che ci coltiviamo noi,
le saturnine o altre varietà vanno completamente denocciolate,
o meglio il frutto va schiacciato senza rompere l’osso e poi con un altro
macchinario si denocciola, tenendo così solo la polpa. Questa è frutta
che non ha pesticidi o anticrittogamici, ha una flora di lieviti indigena:
noi facciamo esclusivamente fermentazioni spontanee.
La frutta col nocciolo in particolare (e questo è poi l’esperienza
che te lo insegna), può essere denocciolata oppure la fermentazione
avviene con una parte dei noccioli o con tutti i noccioli presenti e separati
prima della distillazione. Questo perché per alcuni frutti,
come le prugne Mirabelle, il sentore di benzaldeide,
che è quello della mandorla che noi sentiamo,
fa parte del carattere del distillato.
E quindi in giusta misura è corretto che ci sia questo sentore.
Una cosa che è bellissima e che la caratterizza: il suo logo,
il suo alberello della frutta. Anche questo ha una storia.
Si, una storia molto semplice, come tutte le nostre cose.
Era un’idea che avevo in testa, l’albero delle meraviglie
e poi quando finalmente sono partito professionalmente
con questa cosa dopo 10 anni di esperimenti,
l'ho realizzata.
E comunque è molto bello. Lei da qui hai colto tanto per il suo packaging,
le sue bottiglie, i sigilli. C’è tutto un lavoro dietro, legato dall’eleganza
che traspare sia dalla bottiglia e alla fine arriva anche al prodotto…
la rappresenta molto!
La bottiglia è poco vestita... questo legaccio fatto a mano,
il bindello, il cartellino, che è l’esatta carta di identità
di ogni bottiglia e il colore, le ceralacche
che ce le facciamo noi… pertanto è tutto lavoro manuale!
Quello che volevo mettere in evidenza
è il nostro lavoro vero e artigianale.
Lei ha una sensibilità particolare, ha scelto dei colori che a livello emozionale
e visivo risvegliano e suggeriscono quello che stai bevendo.
…si, l’origine del frutto.
E come le è venuta questa idea?
E’ venuta da sola, non ci ho pensato molto.
In particolare con le ceralacche cerco di “scimmiottare”
quelli che sono i colori naturali del frutto in origine.
I colori ti rimandano alle sensazioni che trovi nel distillato quando lo bevi…
Si, un riferimento, un punto di colore ci vuole comunque, perché in particolare
i distillati di frutta se noi li guardiamo sono tutti liquidi “incolori”,
che non suggeriscono esattamente l’origine…se è da ribes nero o da mirabelle.
E questa cosa è simpatica!
La sua bottiglia è pulita, senza etichetta. E’ molto evocativo il colore ...
Mettendo in bocca uno dei nostri distillati…lo definisci il colore del gusto.
Con il colore della ceralacca si richiama quello vero del frutto.
Una qualche assonanza con l’origine viene immediatamente in mente
appena si assapora il distillato.
E’ molto forte l’impatto sensoriale dei suoi distillati. Quando li apri, chiudi gli occhi,
è come se si mangiasse anche il frutto. Anzi, forse neanche il frutto fresco
dà questa “concentrazione” aromatica e di maturazione. Vale per tutta la frutta?
Questo non accade per tutti i frutti, ma solo per quelli che hanno
una classe di aromi particolare, i terpeni, che rimane uguale nel frutto fresco,
nel fermentato e anche nel distillato. Pertanto troviamo quella fragranza
e quegli aromi primari del frutto fresco.
Quali sono quelli che ha provato e le hanno dato meno soddisfazione?
Io continuo a provare diverse varietà, dalle albicocche, alle mele alle pere
e poi ovviamente alla fine devi fare delle scelte.
Prima di tutto legate alla difficoltà a reperire le materie prime per farne
un quantitativo che sia significativo e che si possa proporre.
Un conto è farne una prova, ne fai 5 litri... ce lo beviamo e sappiamo
che quel frutto dà quel risultato. Se poi vogliamo proporlo perché
è interessante, dobbiamo trovare le materie prime!
Le bacche selvatiche sono in genere tutte interessanti: la sola difficoltà
è legata al fatto che non potendole acquistar devi andartele a cercare!
Ed è quello il vero lavoro, anche se fortunatamente ho amici
che si prestano a fare dei fine settimana per raccogliere le pere selvatiche,
il prugnolo gentile. In questo modo riesco a recuperare manodopera
che è poco costosa…e quello è il vero divertimento.
La raccolta della materia prima è la prima tappa!
Quando ha deciso di produrre i distillati è partito con poche varietà
sino ad avere ora una gamma piuttosto ampia.
Come avviene la scelta dei frutti?
Quello che tento di fare anche oggi è di raccogliere i frutti della mia infanzia
e che sono spesso ignorati. Ad esempio le corniole, le bacche di sambuco,
le susine selvatiche, vari tipi di frutti che vengono ignorati
perché costa fatica raccoglierli…spesso non è facile, soprattutto viste le rese
che hanno (del 2-3%), si capisce che fare un minimo di prova
che abbia un significato, bisogna raccoglierne almeno 5-6 quintali.
E raccogliere un tale quantitativo richiede tanto lavoro!
Tanti vorrebbero avere nella loro vetrina i suoi prodotti?
Come sceglie le persone? A chi “concede” il suo prodotto?
Io non vado a clienti e nemmeno mi propongo, sono i clienti che scelgono noi!
Siamo conosciuti e la gente sa quello che facciamo, ci cerca.
Abbiamo qualche rappresentante/amici, sparsi per l’Italia
a macchia di leopardo. I miei primi clienti in assoluto, grazie
alle conoscenze di lavoro e parlando la lingua tedesca,
sono stati gli svizzeri, tedeschi e austriaci!
Proporre un distillato di frutta 25 anni fa in Italia era una cosa difficile.
Ti dicevano “è grappa alla frutta” o cose simili.
Pertanto non era assolutamente capita.
E’ stato un percorso lungo e faticoso. Chi mi ha incoraggiato sono stati
i miei importatori, che ho tuttora in altri paesi. Nei primi anni '90
ho partecipato a dei concorsi internazionali, dove si distinguevano
i nostri prodotti, facevamo bella figura.
E questi luoghi sono frequentati da persone interessate
a questo genere di prodotti (importatori, privati, appassionati).
Così è iniziato tutto e sono stato incoraggiato a continuare
su questa strada! A quel tempo, nel 1985-1986, ho fatto
la prima vendemmia (io all’epoca producevo anche vino,
pur non avendo vigne di proprietà) viste le conoscenze
che avevo nel vino. Dal Collio, all’Alto Adige trovavo
delle materie prime eccellenti che trasformavo poi qui in cantina.
Questa cosa è finita nel 1996: è stata una scelta obbligata,
ma le due cose convivevano con grandissime difficoltà,
tanto che io potevo produrre, ma tutto andava finire
in un magazzino chiuso. Per imbottigliare i nostri distillati
dovevo fare un laboratorio in paese e con una burocrazia assurda.
Inoltre con il fatto di non avere vigneti di proprietà,
è stato determinante.
Tornando un passo indietro: la sua azienda come è strutturata?
Quando si alza qual è la prima cosa che fa?
In questi anni la mia vita è sicuramente cambiata, nel senso che oggi
ho 8 dipendenti fissi e sono “educati”; ognuno sa quello che deve fare.
Io al mattino non impartisco ordini, ognuno è responsabile
e sa esattamente quello che deve fare. Casomai se ne parla il giorno prima
e si stabilisce un programma di lavoro. Agli inizi, che ero solo
e avevo aiuti saltuari, ma la giornata era assolutamente lunga,
interminabile. Ora è più un lavoro di controllo, mentre in stagione
di distillazione sono sempre presente.
Per quanto riguarda le fermentazioni, la raccolta
e l’approvvigionamento della frutta, sono io che col furgone
vado in Alto Adige, in Toscana, vado a raccogliermi le materie prime
o vado a cercarle. A seconda delle stagioni i miei compiti
cambiano completamente, anche se sono sempre presente
nei momenti importanti del ciclo produttivo.
Lei ha un tecnico che supervisiona la produzione?
Sono tutti operai, ho mio nipote, che ora si dedica esclusivamente
alla diluizione e all’imbottigliamento, che naturalmente discutiamo
di volta in volta. Ho anche due ragazzi in campagna,
dato abbiamo 4 ettari coltivati.
Dove sono?
Qui attorno nella nostra azienda. Sono 3 appezzamenti diversi
e anche lì c’è tanto da lavorare. Naturalmente la raccolta della frutta
nei nostri frutteti finisce ai primi di settembre e da lì per noi
inizia la stagione della distillazione vera e propria.
I ragazzi impegnati in altri posti si dedicano esclusivamente
alla distillazione, ovviamente con la mia supervisione.
Noi non lavoriamo a ciclo continuo. Facciamo orari normali,
in stagione magari qualche ora in più al giorno si lavora sicuramente
e questo perché si accumulano un po’ di vinacce
che vogliamo distillare immediatamente e quindi prolunghiamo
la nostra presenza in azienda.
Non le è mai venuto il desiderio di allevare qualcuno che può proseguire
il suo mestiere? Non l'hanno mai chiamata ad insegnare l'arte del distillatore,
che manca un po’ in Italia?
Arrivano richieste però non ho assolutamente il tempo per fare anche questo…
Ma non ha il desiderio di trasmettere questa cultura?
Lo sto facendo a modo mio. Al di là che la mia distilleria sia ben frequentata,
ho almeno una ventina di bravi distillatori europei
che vengono a visitarmi e io vado a visitare loro.
Tra di noi c’è un rapporto, un confronto, un dialogo, ci scambiamo
delle materie prime a volte; ci incontriamo alle manifestazioni...
e questo avviene da 20 anni. Quello che cerco di fare ora
per divulgare questo modo di distillare, riesco a farlo grazie al fatto
che anche in Italia sono cambiate le regole della distillazione.
C’è una sorta di piccola licenza dal 2001, che esisteva anche prima,
però anche se uno cercava di ottenerla faceva 10 anni di corse
e poi non ci arrivava. Ora invece hanno l’obbligo di dartela.
Un’azienda agricola può produrre in Germania e in Austria
annualmente 300 litri di alcool (come quantità massima).
Deve essere un’azienda agricola e distillare le materie prime proprie,
sia frutta che vinaccia. Per le regole italiane, che sono leggermente diverse,
con il mio artigiano Muller (con cui facciamo un po’ di cose per il mondo)
ho costruito un alambicco adatto a tale scopo. Cioè un piccolo alambicco
che distilla 2 volte, secondo le regole imposte dallo stato e lo sto proponendo
alle aziende agricole che hanno la passione di distillare seriamente.
Questo è quanto. Fra un po’ di anni, potrò creare un piccolo gruppo
di distillatori con cui confrontarmi, che partono da zero con quello
che gli insegno io. Questo potrebbe creare una nuova generazione,
perché quelli che ci sono ora, anche se sono piccoli
seguono un sistema industriale, vecchio di 100 anni fa.
E' proprio sbagliata a cultura della distillazione in Italia,
legata a quella obbligatoria del conferimento delle vinacce
che non costano niente. Storicamente la grappa era l’alcool dei poveri,
che doveva costare poco. E tutte le macchine e la tecnologia
per disalcolare questo sottoprodotto, doveva prevedere di lavorare
velocemente e con altissime rese.
Vedo sul tavolo nascosto dietro alla grappa una bottiglia di rum.
Quando ha iniziato l'avventura nei Caraibi?
Sul serio nel 2006. Era un’idea, un sogno di Luca Gargano,
che da anni mi inseguiva perché aveva questa cosa in testa.
Da grande importatore e conoscitore di tutti i rum e non solo,
aveva comunque la sensazione che si potesse fare qualcosa di diverso,
di meglio, senza usare distillazioni con colonne continue.
E così grazie agli ultimi ragazzi arrivati in azienda nel 2003-2004
(altrimenti non avrei mai potuto muovermi) ho iniziato a girare.
Nel 2005 Luca ha voluto assolutamente portarmi
in quel della Guadalupa per farmi almeno vedere.
Io continuavo a dire rifiutare. Lui mi disse che,
oltre a piacermi per il mare, su questa isola esisteva
un piccolo distillatore che sarebbe stato disponibile a farci da partner,
a farci spazio nella sua distilleria…
Sono andato a Marie Galante, un’isoletta straordinaria, bella e tranquilla,
dove ho incontrato Dominique Thiery, il terzo socio in questa impresa.
E dato che anche lui voleva conoscerci, è venuto in Italia
e nel 2006 siamo partiti. Abbiamo mandato a Marie Galante
tutta la tecnologia ed è stato un anno di sperimentazione,
dovevo conoscere la materia prima.
Ufficialmente la prima produzione è uscita nel 2007.
Quindi per lei la canna da zucchero era una materia prima sconosciuta
a livello di comportamento in distillazione?
Si, quasi sconosciuta, tanto che ho impiegato un anno
di sperimentazioni, in quanto il processo di lavorazione
rispetto ad altri produttori di rum agricole come il nostro
(per rum agricole si intende quello fatto direttamente
dal succo della canna da zucchero e non con gli scarti
della lavorazione dello zucchero) è completamente diverso.
Il nostro succo non è diluito, le nostre fermentazioni
sono a temperatura controllata molto lunghe.
E poi c’è la doppia distillazione a bagnomaria
come avviene per la frutta.
Ma riduce in purea la canna da zucchero?
No, viene pressata, non ci sono fibre e pertanto
è come un succo d’uva. E questo va trattato diversamente
rispetto a quanto fanno in genere i distillatori locali.
Nel processo di pressatura queste fibre vanno annaffiate continuamente
per estrarre tutte le sostanze zuccherine contenute. Alla fine si ottiene
un succo diluito al 50% con un’acqua spesso di cattiva qualità.
Le fermentazioni sono velocissime e forzate, in quanto innestate
con lieviti come quello di birra.
Le temperature sono elevate naturalmente in quei posti,
attorno ai 27-28 °C, e non c’è possibilità di raffreddare la massa
in fermentazione. Le fermentazioni sono tumultuose
e arrivano a 38-39°C e lì si arresta il processo. E’ per questo
che in questi Paesi tutto sommato serve questa diluizione,
perché altrimenti arrivata a quella temperatura,
la massa arresterebbe la fermentazione e sarebbe alcool perso.
Per il loro ciclo produttivo dunque va bene che le cose
siano fatte così. Però il sistema di distillazione che hanno
(sono colonne in controcorrente) che non consente la possibilità
di separare le teste dalle code, produce prodotti un po’ “sporchi”.
Una cosa che ho scoperto strada facendo è che i rum agricoli
sono ricchissimi di una sostanza tossica, l’etilecarbammato,
che si forma appena dopo la distillazione
e viene dalle sostanze azotate. In particolare loro,
come nutrimenti dei lieviti, usano sali ammoniacali
che si trasformano in etilcarbammato, di cui non si conoscono
gli effetti. La FDA per esempio ha stabilito un tetto a questa sostanza,
tanto che in certi paesi come Giappone, Canada questi distillati
non possono essere importati a causa della presenza dell’etilcarbammato.
Il nostro rum non ha questa sostanza tossica,
grazie alle fermentazioni lente e la doppia distillazione a bagnomaria.
Ma quello che è più interessante, rispetto ad un agricole tradizionale,
è che con il mio sistema di distillazione e una fermentazione pulita,
perfetta, come succede anche nella frutta, lasciamo tutta la ricchezza
della materia prima, pertanto la sua tipicità.
Tanto che sto sperimentando anche diverse varietà
monovarietali di canna, per vedere con il tempo di indirizzarci
su tipologie aromaticamente sono più interessanti.
Lei preleva la canna da zucchero in Guadalupa, a Marie Galante.
Rispetto a quella dominicana, cubana, Nicaragua, che differenza c’è?
Questa isoletta ha anche un microclima particolare
e la bontà della canna è in funzione delle precipitazioni che ci sono.
Ci sono paesi che fanno anche due raccolti l’anno di canna,
mentre lì se ne fa una solo ed è straordinaria
proprio perché c’è un microclima speciale.
E questo è un ulteriore valore aggiunto.
C'è qualche fortunato che ha potuto assaggiare i suoi distillati
di banana e di ananas. Anche per quelli stessa procedura e produzione in loco?
Certo, esattamente come per il rum, e a Guadalupa
è fatto anche l’imbottigliamento. In Italia arrivano le bottiglie
già etichettate, pronte. Mandiamo etichette, tappi, bottiglie
e tutto viene fatto sul posto.
E come è stato accolto questo rum.
La gente lo capisce che è diverso rispetto agli altri?
Sicuramente questa è la prima affermazione che uno fa.
Anzi spesso la gente dice “io non ho mai assaggiato
un rum così…ma altre cose!”
Anche perché in Italia i rum bianchi di qualità
sono poco presenti. Ci sono i prodotti industriali usati per miscelare,
che sono rum legères, industriali. Si conoscono di più i rum di qualità
che sono invecchiati e questo è l’uso più consueto
che viene fatto in Italia. In paesi come l’Inghilterra
e di chi ne sa qualcosa di rum… le reazioni sono molto positive!
Non so se lo può già svelare. Lei ha anche un progetto per produrre un rum scuro?
Questo è già in atto. Una parte del rum che viene proposto ora
è 1/3 di quello prodotto nel 2007. L’abbiamo tenuto bianco
e imbottigliato l’anno scorso. Anche il rum lo lasciamo riposare un anno,
come tutti i nostri altri distillati (che riposano più anni
affinché maturino almeno 2-3-4 anni) prima dell’imbottigliamento,
proprio come un grande vino.
...così hanno la resa giusta a livello di sapori e carica aromatica
Esatto! Non è una cosa che rimane ferma, ha una sua evoluzione,
esterifica. Pertanto dopo questo necessario riposo, abbiamo un prodotto
più complesso, profondo e armonioso, che da giovane non ha.
In Italia poi riduciamo la gradazione alcolica con acqua di sorgente
che andiamo a prenderci dietro al Grappa. A Guadalupa invece,
dove l’acqua è di pessima qualità, pensare di demineralizzarla
e di usare un’acqua morta per diluire un buon prodotto…
non lo faccio e così utilizzo l’acqua del cielo, quella piovana,
che usiamo per diminuire la gradazione alcolica.
Come dicevo, 1/3 viene messo in bottiglia bianco
e i 2/3 subito a fine stagione in legno. Usciranno fra un paio d’anni.
Ma che legno usa?
A differenza di quello che viene usato normalmente nei Caraibi,
che vanno usate le barriques americane del Bourbon,
noi usiamo legni francesi.
E dove mettono la barricaia ai Caraibi?
Anche al sole! Se possono ovviamente all’ombra,
però ci sono grandi distillerie che hanno centinaia di migliaia di botti
che non sanno più dove metterle e le lasciano al sole, o con un telo.
Ritornando al tipo di legno, a differenza di quello che viene
normalmente fatto, botti grandi e vecchissime, le botti migliori
che loro usano sono quelle del Bourbon, che hanno dai 6
agli 8 anni di impiego, quelle americane da 190 litri (e non 225 litri)
che costano poco. Io invece volevo seguire un’altra via.
Un po’ di esperienza di legni ce l’ho! Trovo delle barriques poco usate
da produttori di vino francesi molto blasonati, che me le cedono
dopo un unico passaggio e ho dei legni eccellenti per lo scopo.
Comunque fra un paio d’anni vedremo.
Ritorniamo invece ai distillati di frutti tropicali.
Sto facendo varie prove, guardandomi continuamente attorno.
I frutti ropicali che mi sono sconosciuti, li assaggio, non resisto
e devo sperimentare, provare! Tutti gli esperimenti effettuati
con banane, ananas, montbin, carambole in piccoli quantitativi
sarebbero una cosa molto interessante da fare, anche se sarebbe
un mercato completamente nuovo, perché cose di questo genere
non si conoscono. Purtroppo il problema che si riscontra
nei Caraibi francesi è che la frutta è carissima e i prezzi di acquisto
sono come quelli europei, se non più cari. Le varietà che offre l’isola
sono tante, ma di modesti quantitativi. Tempo fa ho visitato il Vietnam
e sono rimasto favorevolmente sorpreso dal popolo e dal posto.
Lì ci sono frutti di tutti i tipi che costano 1/20 in meno rispetto
a quello che costerebbero ai Caraibi.
Può darsi che se questo progetto va avanti,
usciranno delle cose interessanti. Sempre distillati al 100%.
Distillati di frutta, grappe, assoluti: facciamo un poco di chiarezza
sui suoi prodotti di punta rispetto ad altri.
La distinzione che bisogna fare è una sola:
un distillato non si chiama tale semplicemente perché passato in un alambicco
ed è stato distillato. Per distillato puro, si intende
che l’alcol che noi poi berremo, viene esclusivamente
dagli zuccheri naturali del frutto, che la fermentazione
ha trasformato in alcol e la distillazione ha poi separato.
Nel caso di infusi, di alcolati di “cose aromatizzate” è una categoria
completamente diversa: non sono distillati puri, ma ottenuti per infusione
in alcol di origine agricola e poi distillati. In pratica l’alcool serve
per estrarre gli aromi primari di quello che si mette in infusione
e la distillazione separa quest’alcool che è stato aromatizzato dalle cose
che sono state messe in infusione. Però quella è una categoria
completamente diversa.
Questo è un filone che lei però non ha intenzione di seguire?
No…con questo metodo si farebbero magari guadagni più consistenti,
velocità di realizzazione del prodotto stesso, con costi diversi,
ma io da sempre continuo per la mia strada.
Se mi chiedi del perché faccio queste cose è perché mi piacciono cosi!
E’ stata una scelta ben precisa, fatta a suo tempo.
La difficoltà di non riuscire a produrre di certi prodotti un po’ di più
è perché non ci sono le materie prime.
Quello che io riesco a produrre è questo.
Come Gianni distillatore e come Gianni al di fuori della distilleria,
c’è qualcos’altro che la ispira a parte il rapporto con la natura.
Ha altre fonti di ispirazione? Le piace mangiare, bere, ascoltare musica?
Tutto quello che hai detto! Mi piacciono “le cose belle della vita”,
le buone amicizie, coltivarle sino a che si può.
Si, mi piace coltivarle…proprio come la buona frutta!
Mi piace cucinare, cucino due volte al giorno, anche per le mie figlie
che mi aiutano e mi fanno compagnia; mi piace ascoltare la buona musica
anche se il tempo che ho è limitato. Vorrei fare tante cose, un po’ l’età,
... insomma mi devo accontentare!
C’è mai stato qualcuno, ad esempio uno chef che ha utilizzato il suo prodotto
come ingrediente principale “insostituibile” di una ricetta?
Si, ci sono stati più chef.
Questo è un argomento estremamente interessante,
qualche volta ne parlo. Cito sempre culture diverse, dove in Austria,
Svizzera, Germania, ci sono degli stellati Michelin,
che propongono addirittura menu completi e piatti fatti,
cucinati o accompagnati con distillati. Non fa parte della nostra cultura,
esclusa qualche provocazione, ma è un matrimonio assolutamente
straordinario quello del cibo e dei distillati. In genere il distillato lo si beve
o lo si pensa come digestivo, invece ha un impiego come aperitivo,
in cucina su un pesce crudo qualche goccia o spruzzato sopra…
al posto del solito aceto balsamico o del limone, una mela cotogna,
un distillato d’uve moscato fiori d’arancio a tutto grado vaporizzato,
tanto per citare un esempio su un carpaccio di pesce crudo,
sugli scampi ecc. Grandi cuochi, quelli con molte stelle,
si dilettano a sperimentare e proporre molti piatti fatti
con il nostro distillato. Cito una tartara con la carne
di un grande macellaio che viene composta con il distillato
di prugnolo gentile o le corniole. Con queste ultime ad esempio
si fa una vinaigrette su un carpaccio di carne di cervo, di capriolo selvatico:
il sorbo dell’uccellatore o le corniole hanno un aroma terroso, selvatico,
che ricorda quasi il tartufo e si accompagnano splendidamente.
Anziché mettere il solito cognac, si può dunque aggiungere
il tuo distillato nella preparazione della tartara…
In Francia consumano le loro cose, in Italia viene impiegata la grappa
o per fare il bruss o un risotto alquanto improbabile.
Noi abbiamo oltre 60 distillati. Se pensiamo all’impiego in cucina
di erbe aromatiche o di spezie, dove andiamo alla ricerca
di determinati aromi, con la gamma di aromi naturali
che si ritrovano nei nostri distillati, il campo d’impiego è infinito!
Ora che mi parla di erbe aromatiche, non ha mai pensato di distillare fiori,
verdure oppure ha provato e non le hanno dato soddisfazione?
No, conosco la pratica, mi sono anche occupato, non per me
ma per altri di questa problematica. Il fatto è che dovresti avere
una distilleria completamente distinta, non puoi pensare di fare
degli oli essenziali con gli stessi alambicchi con cui distilli la frutta.
Pertanto dovrei avere due distillerie distinte e sono due lavori diversi
e due mercati diversi. Io sono più affascinato dalle cose
che poi consumo e che mi piacciono!
E l’abbinamento più straordinario che le ha sconvolto la vita?
E magari con una musica combinata. Che trio comporrebbe?
Musica, una straordinaria compagnia e uno straordinario pasto.
Mi è capitato di assaggiare un dessert, la crema fritta alla fava di Tonka
accompagnata dal suo distillato di lamponi vaporizzato sopra! Cosa ne pensa?
Sono poco appassionato di dolci!
Anche se lei non ama i dolci per me è stata un'esperienza straordinaria:
la freschezza e la pungenza del distillato è uno dei ricordi
che mi è rimasto scolpito, indelebile.
In genere sperimento per conto mio oppure frequento cuochi.
Pertanto esperimenti ce ne sono tantissimi che potrei citarti,
al momento non me ne viene in mente uno in particolare.
Sono cose con cui io convivo quasi quotidianamente.
Il mio lavoro me lo godo fuori dalla distilleria.
Mi dicono che dai Caraibi ha importato un cocktail molto beverino a base di rum.
Non è un vero e proprio cocktail.
Un aperitivo?
E’ un modo diverso per gustare il nostro rum.
In genere viene proposto solo a 56 gradi
(una gradazione importante da bere se non è fresco).
Nei Caraibi fanno questo t-punch, cioè qualsiasi cosa
mescolata col rum si chiama “punch”.
L’aperitivo nazionale, con tutte le sue varianti sudamericane,
dei Caraibi e delle Antille, si prepara con dei limoncini selvatici,
che vanno tagliati a spicchietti e poi spremuti dentro
o in sciroppo di zucchero o in zucchero di canna e rum a 59 gradi
(normalmente i rum agricole sono a 56 – 59 gradi).
Noi europei ci mettiamo un po’ di ghiaccio, loro invece lo bevono così,
a tutto grado. La variante che mi sono inventato,
dato che voglio lasciare la personalità del rum che abbiamo prodotto,
pulito e gradevole (nonostante i suoi 56 gradi non offende la bocca)
diventa piacevole se accompagnato con un cubetto di ghiaccio
e una buccia di agrume (un limone naturale nostro,
un mandarino oppure ancora meglio i limoncini selvatici della Guadalupa
che dai miei viaggi porto sempre a casa ) …e quello non è più
un t-punch ma un C-punch, l’aperitivo del Capo, Capo-punch.
A parte questa variante tropicale, il suo rum come consiglia di berlo?
Pensiamo ai distillati in genere, come il rum, con un buon sigaro,
col cioccolato, i momenti per poterlo gustare sono sicuramente molti.
Certo vale la regola bere poco e bere bene!
Lei è un uomo godereccio a 360 gradi. Le piacciono le belle cose,
le piace bere bene, la cucina….
Si, semplici, tutto sommato…
Perché ha scelto di fare il distillatore?
Perché mi piace.
La mattina si alza ed è dunque contento di fare il distillatore?
Mi fai pensare ad una cosa:
la gratificazione più grande che ho del mio lavoro,
è che ogni mattina quando mi alzo mi scopro di avere un futuro,
perché ogni giorno ho qualcosa di nuovo da scoprire.
Questa è la cosa straordinaria di questo lavoro.
Pertanto è per quello che non mi abbandono a “facili cose”.
Ho troppo rispetto di questo progetto. Nel mio percorso
ho conosciuto anche personaggi straordinari, fra cui Luigi Veronelli,
che era affezionatissimo al nostro lavoro e lui mi ripeteva spesso,
che le emozioni più grandi dei suoi ultimi 10 anni di vita
le ha vissute con i nostri prodotti. Mi diceva continuamente,
seduto davanti a 50 assaggi diversi, che io ho una grande responsabilità,
perché se non faccio io quello che faccio, non lo fa proprio nessuno!
Ha un’eredità pesante da tenere!
Non è tanto responsabilità, quanto la mia vita.
La sua è una missione!
Non è una missione, è un piacere. La missione può essere un sacrificio,
il mio è si un lavoro duro, però il lato positivo e “leggero”
è sicuramente prevalente su tutto il resto.